"... avevo scoperto l'abisso della rassegnazione, la virtù del distacco, il piacere del pensare pulito, l'ebbrezza della creazione politica, il fremito dell'apparire delle cose impossibili..." Altiero Spinelli

19/07/2010 -
Il diario di Michele Nardelli
Stava, luglio 1985

Il 19 luglio 1985 era un venerdì di sole. Ma alle 12.22 divenne improvvisamente buio. 160.000 m3 di fango si riversarono sull'abitato di Stava, piccola frazione del comune di Tesero, spazzando via ogni cosa e provocando la morte di 268 persone. Ricordo di aver ricevuto la notizia della tragedia di Stava nel pomeriggio, mentre rientravo a Trento da Roma. In un primo momento non c'era ancora l'esatta dimensione di ciò che la furia del fango (e l'irresponsabilità della ricerca esasperata del profitto) aveva provocato. Poi, con il passare delle ore, la percezione di trovarsi di fronte alla più grande tragedia che avesse colpito il Trentino nel secondo dopoguerra fu sempre più nitida. Il mattino dopo, la scena che si presentava davanti ai miei occhi era a dir poco agghiacciante. Fu uno spartiacque, anche per la politica.

A Tesero oggi si celebra il venticinquennale di quella tragedia. Vorrei essere presente, ma proprio non ce la faccio. Nonostante sia rientrato alle tre del mattino da Sofija alle 9.30 iniziano gli impegni. Ma il mio pensiero va a quel giorno di venticinque anni fa, allo sgomento di quelle ore, al salto di paradigma in ordine alla sostenibilità delle scelte di sviluppo di cui avemmo immediatamente la percezione dell'urgenza.

Poi il tempo diluisce e banalizza. E la storia tende a ripresentarsi con le stesse insostenibilità. Così, sui temi ambientali come su altri profili, la memoria svanisce. E' proprio di questa smemoratezza che parliamo a Salorno, nel tardo pomeriggio, nell'incontro promosso da SolisUrna insieme al Progetto Prijedor. Un gruppo di ragazzi partiranno a breve per un viaggio di studio e insieme ai loro genitori ed accompagnatori mi chiedono di portare qualche spunto di riflessione.

Amo raccontare storie, così parlo di una principessa che si chiamava Europa, di antiche scritture tradotte dal greco all'arabo e dall'arabo al latino finite al rogo cinquecento anni più tardi in una biblioteca nell'indifferenza dei più, di guerre moderne e di ancor più moderne interdipendenze, di una cooperazione che ti aiuta a stare al mondo e a guardare con altri occhi la tua terra, di conflitti che si specchiano in altri conflitti che fatichiamo ad elaborare, alla ricerca come siamo di colpevoli e di visioni in bianco e nero.

Fioccano le domande, c'è anche una certa curiosità verso le suggestioni proposte ma anche verso un approccio che colgono nella sua originalità. E nel suo essere patrimonio di un percorso di vita e di riflessione tutt'altro che astratto.

Due ore e mezza volano via, almeno così mi dicono nell'accomiatarci, e alla fine la voglia di andare, di mettere il naso fuori di sé, è quasi più degli adulti che non degli stessi ragazzi. Tant'è che mi chiedono di rivederci a proseguire questa nostra conversazione. Il fatto di essere sul confine (in questo caso fra il Trentino e il Sud Tirolo) fa parte del mio habitat ormai naturale e allora aderisco con gioia alla loro richiesta. Sono così rare le occasioni per oltrepassare questa "vicina lontananza"... 

La giornata non è ancora finita, ma quel che accade in seguito mi sembra davvero irrilevante. E poi, piano piano, la stanchezza prende il sopravvento.

 

 

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