"... avevo scoperto l'abisso della rassegnazione, la virtù del distacco, il piacere del pensare pulito, l'ebbrezza della creazione politica, il fremito dell'apparire delle cose impossibili..." Altiero Spinelli

01/08/2010 -
Il diario di Michele Nardelli
pesciolino
Manco dal Kosovo da almeno tre anni. Ho continuato a seguirne le vicende a distanza, in particolare attraverso il sito dell'Osservatorio e le attività di cooperazione fra il Trentino e la Municipalità di Peja/Pec, ma mi mancano le immagini dirette, gli sguardi delle persone, l'annusare l'aria. Il colpo d'occhio ti dà l'idea di un grande fervore, autostrade in costruzione, immancabile il fiorire dei centri commerciali. Anche la vita nelle città ha assunto una dimensione di normalità, anche se questa ha il marchio dell'omologazione, dei loghi e del consumismo. E poi in questi anni il Kosovo è diventato uno Stato indipendente, per quanto non ancora riconosciuto dal diritto internazionale nonostante il parere della Corte di giustizia de L'Aja.

Ritornare in Kosovo, seppure per pochissimi giorni, dunque mi incuriosisce. Per aggiungere alle informazioni quel che i tuoi occhi e la tua conoscenza di questa regione riescono a farti mettere a fuoco.

Mentre scrivo sono a Pec/Peja da poche ore, le immagini cominciano ad arrivare a destinazione. Alcune, per la verità, già prima della partenza, all'aeroporto di Verona. Una lunga fila sosta davanti al chek in. Sono immigrati kosovari, una folla di giovani con le loro giovanissime famiglie, che rientrano nel loro paese per le vacanze. Il Kosovo è il paese più giovane d'Europa e qui ne abbiamo uno spaccato.

Una giovane donna siede sull'aereo accanto a me, vuole guardare dal finestrino e le cedo volentieri il posto. Qualche parola e scopro che lavora come operaia in una ditta di coloranti per capelli, nei pressi di Brescia. Viene da Glina e durante la guerra è stata profuga in Albania. Nelle sue parole si avverte l'orgoglio della libertà conquistata e la consapevolezza del molto che c'è ancora da fare. Quando atterriamo a Pristina le dico che la prima volta che sono arrivato qui nel dopoguerra c'erano ancora i soldati russi, che - beffa del destino - arrivarono in Kosovo prima degli americani ed occuparono subito l'aeroporto. Ovviamente, nella narrazione collettiva degli albanesi del Kosovo di questo non si racconta.

Nemmeno il tempo di arrivare a Peja/Pec e già ci aspettano al Patriarcato, per una visita di cortesia in uno dei luoghi di maggior valore storico e culturale della regione. Perché questo non è un monastero qualsiasi, è il Patriarcato ortodosso di Pec, culla dell'identità nazionale e religiosa serba. Che qui si sovrappongono ed è un guaio che - lungo la storia - ha accompagnato quel popolo. Nel visitarlo hai la percezione del crocevia nel quale sei immerso e che nemmeno immagineresti prima di metterci piede.

Nemmeno le migliaia di giovani che affollano l'area pedonale sembrano averne consapevolezza, presi come sono nell'aderire - inconsapevolmente o no, non fa poi tanta differenza - alle forme più volgari della globalizzazione. Mi viene in mente il filmato sulla "Generazione ‘89" di OBC e l'intervista ad un ragazzo rumeno che pur non avendo una lira in tasca se ne usciva dicendo "Io sono un capitalista".

Incontriamo il Sindaco di Peja/Pec Ali Berisha. Parliamo delle nuove sfide di questa città, delle aspettative per le giornate di festeggiamento dei dieci anni della cooperazione fra le nostre comunità ... Mi chiedono quel che penso su ciò che accade nella regione e dei rapporti con l'Unione Europea.  Rispondo che non è facile sapere quel che bolle in pentola a Bruxelles, ma che qualunque cosa sia non sembra aprire sprazzi significativi nel torpore politico dell'Unione.

Rivedo dopo qualche anno Alessandro Rotta, amico e viaggiatore balcanico, da un paio d'anni lavora a Pristina per Eulex, la struttura europea che dovrebbe progressivamente portare al superamento di Unmik (la missione delle Nazioni Unite per il Kosovo). Con Alessandro c'è stima e ascolto, la nostra conversazione spazia dal Veneto al Kosovo, ai nostri impegni politico e professionali, a quel che si dovrebbe fare per far uscire la sua regione da un imbarbarimento che la segna nell'animo. Due passi e un caffè espresso (perché quello tradizionale è praticamente scomparso... dovremmo metterlo in protezione!), un saluto alle molte decine di volontari che sono qui per le manifestazioni del giorno dopo... e poi crollo nel sonno del giusto. Così  da dover rimandare la pubblicazione di questo diario dal Kosovo, da dove è partito il delirio degli anni '90.

 

 

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