"... avevo scoperto l'abisso della rassegnazione, la virtù del distacco, il piacere del pensare pulito, l'ebbrezza della creazione politica, il fremito dell'apparire delle cose impossibili..." Altiero Spinelli

11/08/2010 -
Il diario di Michele Nardelli
cristo
E' uscito in questi giorni il libro di Stefano Fait e Mauro Fattor "Contro i miti etnici" (Raetia editore). Avviene con una tempestività sorprendente, tanto che la copertina è dedicata ad un cartello della toponomastica sudtirolese. A fronte di un tema, quello etnico, che attraversa il Sud Tirolo in tutta la sua storia novecentesca e in questi primi anni del nuovo secolo. Che non ha mai smesso, dunque, di essere attuale.

Quando gli autori mi hanno chiesto di scrivere la prefazione al loro lavoro ci ho pensato e ripensato, in primo luogo perché non sempre le tesi espresse dagli autori corrispondevano al mio sentire e, in secondo luogo, perché non sapevo se avrei avuto qualcosa di intelligente da dire.

Non nascondo che ho considerato questa richiesta come un gesto di stima. Ma anche una sfida verso la politica, qual è del resto il significato profondo di questo lavoro. Perché è come se gli autori avessero voluto prendere per il bavero la politica, provando a farla uscire dal proprio torpore. Così ho pensato che in fondo qualcosa da dire c'era, qualcosa che toccava corde che mi sono care, quelle del conflitto e della sua elaborazione in una regione dove il tempo sembra non passi e il denaro dell'autonomia coprire come la cenere un fuoco che qualcuno gioca a tener vivo. E per provare a fare qui quel che da tempo vado proponendo laddove i conflitti hanno assunto i segni della religione o dello scontro di civiltà. Perché in fondo il bandolo della questione sudtirolese è tutto qui: il disporsi a riconoscere il dolore degli altri.

Detto così sembra semplice, ma è quel che non si è fatto. Anche chiedere scusa potrebbe bastare. Scusa per aver colonizzato una terra che con l'Italia non c'entrava nulla, e scusa per le angherie che ne sono seguite, tanto quelle di chi ha continuato a considerare dei poveri cristi che venivano dalle aree più povere dell'Italia come dei nemici come quelle di chi ha cercato d'imporre con la forza (e non solo) l'italianizzazione del Sud Tirolo.

In assenza dell'elaborazione del conflitto, ognuno continua invece a vivere dentro il proprio incubo identitario. E la politica - alla ricerca del consenso piuttosto che di soluzioni che spostino in avanti le contraddizioni - non trova di meglio che cavalcare il rancore.

Il libro di Fait e Fattor che oggi è stato presentato a Bolzano (e sui quotidiani del Trentino) prova a rompere questo schema. Per questo è un sasso nel clima stagnante, dove si coltivano i miti piuttosto che metterli in discussione. Fra passato storico e presente politico, gli autori scelgono una terza strada, quella del "presente storico". Un approccio che potrebbe aiutare una comunità intera ad uscire dal cortocircuito in cui si è infilata, abbassando il conflitto e predisponendo le persone e le comunità a guardarsi riconoscendosi.

In fondo è il principio della nonviolenza.

 

 

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