"... avevo scoperto l'abisso della rassegnazione, la virtù del distacco, il piacere del pensare pulito, l'ebbrezza della creazione politica, il fremito dell'apparire delle cose impossibili..." Altiero Spinelli

17/08/2010 -
Il diario di Michele Nardelli
bancarella
Ancora qualche giorno di tranquillità prima della ripresa. Il diario allora si concentra su una lettura: James Hillman, Un terribile amore per la guerra (Adelphi). E' un saggio su un tema che fa tremare i polsi, la normalità della guerra. Scrive Hillman: «Non esiste una soluzione pratica alla guerra perché la guerra non è un problema risolvibile con la mente pratica, la quale è più attrezzata per la sua conduzione che per la sua elusione o conclusione. La guerra appartiene alla nostra anima come verità archetipica del cosmo. E' un'opera umana e un orrore inumano, e un amore che nessun altro amore è riuscito a vincere. Possiamo aprire gli occhi su questa terribile verità e, prendendone coscienza, dedicare tutta la nostra appassionata intensità a minare la messa in atto della guerra, forti del coraggio che la cultura possiede, anche nei secoli bui, di continuare a cantare mentre resiste alla guerra».

Quando ho assunto l'impegno della presidenza del Forum trentino per la Pace e i Diritti Umani ho posto esattamente questo stesso tema, far uscire la pace dalla retorica di un mondo pensato in armonia e privo di conflitti (la pace dell'ingenuità, dell'ignoranza travestita da innocenza la definisce Hillman), fare i conti con gli aspetti indicibili della guerra, che non hanno a che vedere non solo con gli interessi materiali che motivano o si annidano nelle guerre, ma con la natura umana. Parlavo della guerra come condizione di totale libertà (liberato dalla sua solitudine, dalla sua particolarità, e dai suoi interessi, capace di dare tutto, perfino al sua vita scrive Estanislao Zuleta), un cerchio magico nel quale l'uomo perde ogni forma di inibizione e s'immagina onnipotente, capace delle peggiori cose e al tempo stesso di potersi approvare senza remore e senza dubbi di fronte al perverso nemico. Quando ne esci, finiscono ben presto gli inni patriottici ed inizia la condizione del reduce di guerra: la violenza in famiglia, i suicidi, i silenzi, la disperazione.

L'impegno per la pace diventa una forma consapevole di riduzione del danno. Riconoscere il conflitto, prenderlo per mano, farsi attraversare. E' il tema decisivo dell'elaborazione del conflitto.

Ne parlo con Michela, Marzia e Pierluigi che mi raggiungono a Cadine. Hanno dato vita ad un laboratorio teatrale che si chiama Multiversoteatro e sono venuti a trovarmi per raccogliere le mie impressioni su Mirijana, rappresentazione di cui ho parlato in queste pagine, che affronta il tema dello stupro nella guerra.

Non so nulla di teatro. Provo a dire della bravura di Michela a reggere un ruolo tanto doloroso, dello spazio scelto che ti costringe ad essere nel palcoscenico (dentro il conflitto), della volgarità esibita e rivendicata del branco come del soldato, del pugno nello stomaco che ne viene e della necessità di una forma di accompagnamento per lo spettatore che del «meccanismo più intimo della guerra e il più efficace, dato che è quello che genera la felicità della guerra» non ha mai nemmeno sentito parlare.

La riduzione del danno consiste nel parlarne. Per questo il loro lavoro è straordinariamente importante. Quel che io posso descrivere sono i luoghi, la normalità dei carnefici, la durezza incontrata e quella vista negli occhi degli imputati nel Tribunale de L'Aja. Ne esce qualche idea... ed è quello che forse volevamo, come quella di rappresentare Mirijana nei luoghi che hanno a che vedere con la quotidianità della violenza.

Una conversazione intensa eppure serena. Effetto forse della polenta e del buon vino. Anche così ci si può riposare.
 

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