"... avevo scoperto l'abisso della rassegnazione, la virtù del distacco, il piacere del pensare pulito, l'ebbrezza della creazione politica, il fremito dell'apparire delle cose impossibili..." Altiero Spinelli

10/09/2010 -
Il diario di Michele Nardelli
Palestina, dettagli

Giornata fitta fitta di incontri. Un sopraluogo a Palazzo Thun per verificare gli aspetti logistici dello spettacolo che il 1 ottobre darà il via a "Cittadinanza Euromediterranea". Una riunione con gli esuli iraniani per organizzare il presidio di mercoledì prossimo per salvare la vita di Sakineh e contro la pena di morte in ogni parte del mondo. Fra gli esuli c'è anche Ehsan Soltani, un giovane laureato ed ex ufficiale dei Pasdaran, fuggito dal suo paese due anni fa e che nei mesi scorsi ha denunciato i loschi traffici internazionali nei quali sarebbero coinvolte le guardie della rivoluzione. Finisco con loro ed incontro il gruppo di lavoro di "Viaggiare i Balcani" per parlare dei programmi per il 2011. Di seguito mi vedo con il presidente Marco Depaoli, per proporgli che sia il Consiglio Regionale a promuovere nel 2011 un incontro di città simbolo dell'incontro fra le culture mediterranee. Avremo modo di parlarne. Mi chiama  Lanfranco Cis per dirmi che hanno deciso che l'edizione 2011 del festival Oriente Occidente sarà dedicata proprio al tema delle culture euromediterranee come gli avevamo proposto. Il puzzle si va componendo.

Nel pomeriggio mi incontro con Margherita Cogo per mettere le basi di una nuova proposta sulla Regione. Con noi anche Mauro Cereghini e Paolo Pasi, che dovrebbero dar vita ad un gruppo di lavoro, raccogliere la documentazione, istruire il tema e formulare un'ipotesi di proposta. Che, a grandi linee, dovrebbe partire dall'assegnazione alla Regione di un ruolo squisitamente politico, sbarazzando il campo dalle competenze ancora in essere la cui stessa esistenza, quand'anche residuale, è vissuta dalla maggioranza sudtirolese come un'imposizione a scapito dell'autogoverno. La Regione dovrebbe così rappresentare il cuore di un patto di vicinanza, scelto invece che subito. Parte integrante di un Terzo Statuto che guardi all'Europa in una prospettiva federale.

Credo che i tempi siano maturi per un passaggio di questa natura. Ogni volta che mi è capitato di parlarne con esponenti della SVP ho trovato attenzione e quasi stupore che dai trentini potesse venire una proposta in questa direzione. Parlandone oggi con il presidente del Consiglio Regionale, anche se pure informalmente, ho trovato una buona sintonia. Che nel corso di questa legislatura sia necessario almeno avanzare una proposta sul futuro della Regione è scontato per ogni persona di buon senso, talmente avvilente lo spettacolo che il Consiglio da di sé. Nella consapevolezza che incontreremo seri ostacoli, tanto dalla destra altoatesina quanto da parte di chi, nel centrodestra trentino, è fermo ad una logica - questa sì tutta ideologica - di difesa di un'italianità vissuta in sottrazione e che fatica ad uscire dal conflitto di cui è prigioniera.

Scrivo il comunicato stampa per la manifestazione di mercoledì prossimo per la definitiva sospensione della pena di morte contro Sakineh e inizio a telefonare per raccogliere le adesioni. Chiamo anche Aboulkheir Breigheche, imam della comunità islamica trentina. E' il giorno in cui la comunità festeggia la fine del Ramadam e intendo così far loro sentire la mia vicinanza. Gli parlo anche dell'iniziativa di mercoledì prossimo contro la lapidazione di Sakinek e la pena di morte: la presenza del rappresentante della comunità islamica sarebbe un gesto davvero importante. Il giorno dopo, all'articolista de L'Adige che gli chiede quale sia la posizione della comunità musulmana trentina riguardo alla vicenda di Sakineh Mohammad Ashtian, Breigheche risponderà: «la nostra posizione è decisa: siamo fortemente contrari alla pena di morte e promuoviamo la sua abolizione».

Verso le 18.00 vado alla Sala Depero dov'è previsto l'incontro con lo scrittore e pacifista israeliano Amos Oz. Tantissima gente, come accade ogni volta che a Trento arriva un testimone del nostro tempo. La strada della pace viene descritta con queste parole: «Questa terra è l'unica casa per entrambi. Ma i due popoli non possono diventare un'unica famiglia felice. Perché non sono una famiglia, e perché non sono felici. L'unica soluzione è allora dividere questa casa in due appartamenti, in modo da poter vivere non in amore ma in pace sì e la stragrande maggioranza degli israeliani e dei palestinesi sa benissimo che questa è l'unica soluzione».

Continuo a non credere che questa sia la soluzione. So bene che il movimento per la pace ha sposato l'idea dei "due popoli, due stati" ma, a parte il fatto che questo realismo non ha prodotto nulla e che ogni volta ci si è avvicinati ad una soluzione che andava in questa direzione qualcuno in Israele l'ha fatta saltare, continuo a pensare che la pace in Palestina (e in ogni altra parte del mondo) non si possa costruire erigendo muri di separazione. Che pace è quella che si fonda sulla paura dell'altro? Se questa paura diventa parte di te, come ho sentito ammettere nei miei viaggi in quella terra, il diritto alla sicurezza è destinato a diventare un incubo e capisco perché molta gente, tanto israeliana che palestinese, oggi decida di andarsene da una terra pure tanto amata. Oltre tutto, la formazione di due stati "etnicamente puri", in buona sostanza, comporterebbe il completamento di un processo di pulizia etnica iniziato nel 1948 e francamente non mi sembrerebbe un buon viatico ad una prospettiva di pace. Quel che vedo nel frattempo sono nuove colonie, sottrazione delle risorse come ad esempio il diritto all'acqua, militarizzazione, criminalità organizzata (che si nutre di contesti deregolati).

Occorre, qui come altrove, un cambio di paradigma. Per questo vale la pensa di impegnarsi. Perché in entrambe le società prenda corpo una nuova classe dirigente in grado di scegliere la strada della nonviolenza, una prospettiva diversa i cui ingredienti dovrebbero essere una soluzione regionale in senso euromediterraneo, il superamento dell'idea degli stati etnici (nazionali), l'avvio di un processo di elaborazione del conflitto fondato sul riconoscimento dell'altro, la scelta della demilitarizzazione dell'area. Non so dire se sia più utopica la prima o la seconda soluzione. Ma se anche gli scrittori non sanno andare oltre il realismo, non siamo messi bene.

Certo è che le notizie che arrivano dalla regione sono seriamente preoccupanti. Se dovesse essere guerra con l'Iran (e in Israele ci si sta attrezzando in questa direzione, con l'accumulo di scorte di carburante e con tanto di esercitazioni della sua aviazione in Romania), ogni residua speranza andrà su per il camino. Credo che il presidente Obama l'abbia capito e che cerchi di fermare, con le trattative in corso, il precipitare della situazione.

 

 

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