"... avevo scoperto l'abisso della rassegnazione, la virtù del distacco, il piacere del pensare pulito, l'ebbrezza della creazione politica, il fremito dell'apparire delle cose impossibili..." Altiero Spinelli

25/10/2011 -
Il diario di Michele Nardelli
In alto mare
Giornata densa d'incontri che non attenuano il mio cattivo umore. L'origine di questo stato d'animo sta nella fatica della politica. Per chi come me ha avuto il privilegio di far coincidere le proprie idee con il proprio impegno professionale, il non ritrovarsi nei propri luoghi di appartenenza politica costituisce un problema. Nella scelta di mettere in gioco le proprie idee in spazi ampi di rappresentazione politica ci stava ovviamente la condizione di essere opinione fra le opinioni, minoranza fra molte minoranze, purché in una dialettica aperta e attenta ai processi di cambiamento, ad iniziare dallo sguardo sulle cose del proprio tempo.

Era parte essenziale e cultura istitutiva del PD (e del PD del Trentino) quello di partire dall'inadeguatezza dei pensieri e delle forme dell'agire politico precedenti. La Carta dei valori del PD, il suo vero atto di nascita dopo e oltre la coraggiosa scelta di andare al superamento dei DS e della Margherita (nonché delle formazioni politiche locali che, come in Trentino, hanno concorso alla formazione del nuovo soggetto politico), è rimasta nel cassetto, primo e nobile tentativo di costruire una sintesi culturale originale che nel corso del tempo si è andato sbiadendo, facendo invece riemergere le culture di una classe dirigente che è rimasta uguale a se stessa, come se la nascita di un nuovo soggetto politico fosse più un'alchimia per rimanere a galla che un processo profondo di rinnovamento.

In questa mancata sintesi misuriamo oggi le difficoltà del PD, la sua capacità o meno di abitare con intelligenza questo tempo. E francamente quando sento D'Alema, con la spocchia di sempre, dire che siamo pronti al dopo Berlusconi, mi chiedo che cosa sia cambiato - tanto sul piano della proposta progettuale come nella classe dirigente - rispetto al fallimento precedente. Siamo ancora all'idea che gli italiani si siano sbagliati a votare per Berlusconi...

Berlusconi e Bossi sono al governo perché hanno saputo interpretare e a loro volta contribuire a rendere più aggressiva la profonda trasformazione culturale avvenuta in questo paese, a partire dall'idea che di fronte ai processi della globalizzazione si potesse rispondere con la chiusura ed un modello neocorporativo di tipo populistico. Al quale il centrosinistra non ha saputo rispondere con un progetto alternativo, che ancora non c'è. Certo, l'anomalia Berlusconiana, questo personaggio da operetta che ha reso impresentabile l'immagine dell'Italia nel mondo, ha semplificato le cose considerato che, al confronto, persino una destra normale come quella di Fini diventava accettabile. Ma, paradossalmente, questo ci ha portati fuori strada ed ora, nell'urgenza di liberarsi di questo squallido personaggio, un'idea diversa di modello sociale e culturale - alternativa a quella dei poteri finanziari di questo paese - ancora non s'intravvede. E francamente non mi pare che il cosiddetto "nuovo ulivo", l'alleanza con Di Pietro e Vendola, dato per scontato che il terzo polo giocherà una partita a sé, sia portatore di un progetto particolarmente nuovo (e fino ad oggi nemmeno di un progetto purchessia).

E poi c'è dell'altro, ovvero la degenerazione della politica e delle sue classi dirigenti. Ho frequentemente la sensazione che i destini individuali prevalgano sempre di più, facciano da tappo verso un ricambio che poi si manifesta più come scontro fra generazioni che sul piano del rinnovamento del pensiero. Il problema "generazionale" c'è, sia chiaro. E fin quando la mia generazione non si disporrà a passare il testimone attraverso un serio lavoro di elaborazione del tempo che abbiamo letteralmente occupato, anche il rinnovamento si porrà in maniera distorta, affidando alle sole regole la soluzione del problema.

Guardo con un certo interesse all'incontro dei "trentenni" che si è tenuto lo scorso fine settimana a Bologna, ma alla fine siamo sempre lì, inchiodati al numero dei mandati e poco altro. Quando invece il problema riguarda la capacità di elaborare la storia recente, di questo paese in rapporto agli avvenimenti che hanno letteralmente cambiato l'assetto mondiale, indagando le idee e la loro capacità di interpretare tale cambiamento.

Per fare questo lavoro è necessario darsi una distanza, non essere in prima linea. Questo voglio dire quando parlo di predisporsi a passare la mano. Lo avverto come una forma di ecologia personale.

Parole in libertà per cercare di descrivere uno stato d'animo. Il che non impedisce di partecipare alla conferenza stampa di presentazione della campagna "Anch'io sono italiano", di incontrarmi prima con lo staff del Forum e poi con il presidente Dorigatti per trovare una soluzione al problema della precarietà del personale che in questa istituzione della Provincia ha creduto e messo l'anima, di andare in terza commissione, di incontrare i rappresentanti della comunità sarda del Trentino e, infine, di partecipare all'incontro promosso dalla "Sinistra per Israele" sul processo di pace (che non c'è).

Quest'ultimo incontro ruota attorno all'intervista a due esponenti del pacifismo in Israele, Avshalom Vilan e Mohammed Darawshe, da parte dei direttori dei quotidiani locali. Un confronto franco e aperto, certamente interessante, anche se purtroppo poco rappresentativo della realtà. Che invece appare sempre più radicalizzata, seppure per responsabilità che non possono essere messe sullo stesso piano. La stessa introduzione curata dai promotori dell'iniziativa propone una narrazione della storia che fa cadere le braccia tanto è unilaterale.  

Sono fermamente convinto che se ognuno rimarrà chiuso nella propria narrazione non si andrà certo verso una soluzione basata sul principio "due popoli, due stati", proposta tanto realistica quanto lontana, che pure non tocca le mie corde. Quanto alla pace, presuppone il mettersi nei panni dell'altro, il riconoscere come sono andate le cose, la riconciliazione. Purtroppo la realtà è un'altra. Richiederebbe un cambio di prospettiva, ma non vedo nelle classi dirigenti, né dello stato di Israele, né nell'Autorità Nazionale Palestinese, la capacità di questo salto di paradigma.

In questi incontri, se vogliamo che possano accendere un po' di speranza, c'è il dovere di dire cose sgradevoli, da una parte e dall'altra. Certo, è importante dare voce a chi, in Israele come nei territori dell'ANP, si ostina ad impegnarsi per il dialogo e per la pace. Ma anche questo rischia di diventare un rituale che poi non ha nulla a che fare con i muri e il filo spinato che sorge ovunque. E anche la nascita degli stati dobbiamo sapere che producono confini piuttosto che superarli.

 

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