"... avevo scoperto l'abisso della rassegnazione, la virtù del distacco, il piacere del pensare pulito, l'ebbrezza della creazione politica, il fremito dell'apparire delle cose impossibili..." Altiero Spinelli

26/11/2011 -
Il diario di Michele Nardelli
Brasile
A tre anni dall'uscita di "Darsi il tempo" ancora ci sono persone e realtà che ci chiedono di andarlo a presentare e di farne un'occasione per riflettere sullo stato della cooperazione internazionale, soprattutto oggi che il fondatore della Comunità di Sant'Egidio è diventato ministro alla cooperazione internazionale e all'integrazione e che un nuovo sguardo sul mondo  potrebbe aiutarci a riaprire il confronto su questo tema rimasto archiviato per tutta la prima parte della legislatura.

Ho una lunga conversazione telefonica con Adriano Ferroni che nei mesi scorsi si è messo in contatto con gli autori di "Darsi il tempo" per invitarci in Abruzzo a presentare il libro. Nelle parole che ci scambiamo mi rendo conto della solitudine politica che c'è in giro a fronte di una domanda di sguardi nuovi sul mondo e sul proprio agire quotidiano. Ci accordiamo per vederci a febbraio dell'anno che viene e provo un po' di nostalgia per la libertà di movimento che avevo prima dell'impegno istituzionale in Provincia.

Cerco di consolare Adriano dicendogli come anche qui in Trentino, nonostante il livello significativo di elaborazione su questi temi, il vecchio approccio fondato sull'emergenza e sulla logica degli aiuti continui a venir fuori, tanto sul piano istituzionale quanto su quello associativo.

Proprio dopo la chiacchierata con Adriano ho infatti un incontro con l'assessore alla solidarietà internazionale Lia Beltrami. Abbiamo fra noi due impostazioni piuttosto diverse ed è inevitabile che le nostre impronte nei luoghi di rispettiva responsabilità lo siano altrettanto. Eppure c'è un patrimonio di elaborazione che in questi anni ha caratterizzato la Provincia autonoma di Trento che dovrebbe essere comune o comunque un punto di partenza nel quale poi articolare le singole sensibilità.

Per questo propongo a Lia di sviluppare, fra Forum e Assessorato, alcuni terreni comuni di iniziativa. Penso in particolare al "Cantiere Afghanistan 2014" e all'iniziativa sul tema dell'autonomia in Marocco e nel Sahara Occidentale, ma anche all'articolazione del percorso del Forum sulla cultura del limite. La risposta che ricevo, quand'anche all'insegna della disponibilità, mi appare deludente, quasi che la programmazione delle attività dirette della PAT non potesse subire alcuna rimodulazione. Non dovrebbe essere così che funziona una coalizione, non un momento di condivisione, specie quando si ha a che fare con competenze ed esperienze che sono riconosciute sul piano nazionale ed internazionale.

Ci sarebbe anche la necessità di rimettere mano alla legge provinciale sulla cooperazione internazionale (la LP 4/2005, frutto dell'elaborazione di un gruppo di lavoro di cui ero parte), che nel suo iter subì dapprima il depotenziamento dell'ex assessore Iva Berasi, poi la lacerazione dalla sentenza della Corte Costituzionale (su impugnativa del Governo) che ne stralciò alcune delle parti più innovative e, infine, lasciata in una sorta di limbo conteso fra le normative della vecchia legge e quella nuova. Ma in questo contesto non so se un nuovo DDL di riforma ci aiuterà a superare le nostre distanze, consapevoli  che su questo non incontreremo di certo un atteggiamento benevolo né da parte della minoranza in Consiglio, né nella cultura prevalente anche della mia stessa maggioranza, ferma anch'essa alla logica degli aiuti.

L'innovazione che proponemmo nel 2005 è molto più avanti di quel che c'è sul piano della riflessione anche nel mondo della solidarietà, fermo quanto e forse più della politica. Ne ho la riprova nella discussione che il giorno successivo (sabato) si sviluppa nel convegno sul Brasile promosso da una quindicina di associazioni trentine che operano in quel paese. Perché se gli stimoli che vengono dai relatori sono interessanti, poi il taglio delle domande o delle osservazioni dal pubblico è prevalentemente nel segno di chiedersi se ha ancora senso fare cooperazione con un paese come il Brasile considerato fra le locomotive dello sviluppo. Non intendevo intervenire, ma è più forte di me. E in cinque minuti provo a spiegare ai presenti che bisognerebbe smetterla di pensare alla cooperazione come aiuto allo sviluppo, che in un mondo interdipendente la cooperazione significa occuparsi di sé e acquisire quello sguardo strabico che ti permette di vedere la tua stessa realtà con occhi diversi...

La sala e i relatori reagiscono bene alle mie parole. Ma a convegno finito una volontaria di Tremembè mi prende da una parte e mi dice che le cose che ho detto sono di chi ha la pancia piena... Conosco fin troppo bene questa tesi (motivo fra l'altro del mio allontanarmi dal Progetto Prijedor) e mi devo trattenere dal rispondere a tono. Anche perché non so se sia il prodotto dell'ignoranza o il bisogno di dipingere il mondo secondo lo schema - tanto caro a chi deve salvarsi l'anima - della divisione del mondo fra paesi ricchi e poveri, senza vedere che oggi l'esclusione è a-geografica e che l'impoverimento (che è cosa diversa dalla povertà) è prevalentemente un nostro prodotto che passa anche attraverso la cooperazione, gli aiuti internazionali e l'esportazione dei nostri modelli. Mi limito a ricordarle che se oggi c'è un simbolo della povertà, questo si chiama obesità, cioè cattiva alimentazione, consumismo, degrado culturale, perdita di identità.

Fra i relatori c'è Alberto Tridente. Con Alberto ci conosciamo fin da quando lavorava come responsabile dell'ufficio internazionale della FIM Cisl, parlo di trent'anni fa. Amico personale di Lula, il Brasile è stata e continua ad essere la sua seconda patria. Ho un ricordo nitido di quando - proprio grazie all'invito di Alberto - incontrai a Roma quel sindacalista dei metallurgici che sarebbe poi diventato presidente del più grande paese dell'America Latina. Anche Tridente divenne parlamentare europeo e le nostre traiettorie di impegno e di amicizia continuarono nel tempo ad intrecciarsi.

Serbo con me il ricordo indelebile di quando andammo insieme in Messico per partecipare alla campagna elettorale di Cuatemoc Cardenas, candidato presidente del PRD. Era il 1994, l'anno delle rivolta indigena in Chiapas, e noi eravamo lì. Passammo tre settimane attraverso villaggi sperduti e moderne metropoli, un'esperienza davvero indimenticabile.  

Alberto mi regala una copia de "Dalla parte dei diritti. Settanta anni di lotta", praticamente la sua autobiografia in 348 pagine di storia, con una dedica che racconta del nostro comune cammino. Alberto mi aveva permesso di leggere ancora un paio d'anni fa una parte del manoscritto e penso che attraverso questa storia avremo l'occasione di riflettere sul Novecento e sulle grandi speranze che aveva suscitato nel riscatto sociale e politico della classe operaia. Ci accordiamo di presentarlo a Trento all'inizio del nuovo anno.

Quel che dico al mattino dovrei dirlo anche nel pomeriggio, nel corso del sit in che come Forum trentino per la Pace e i Diritti Umani abbiamo promosso per testimoniare la vicinanza con il popolo egiziano e siriano alle prese con un passaggio delicatissimo della loro storia. C'è un folto gruppo di arabi, tanti giovani nati in Trentino da famiglie di immigrati dal Mediterraneo, ma gli italiani sono pochi, come se occuparsi di quel che accade dall'altra parte del mare non li riguardasse. Perché - diciamolo pure - alla logica degli aiuti, delle partite del cuore e dell'emergenza, corrisponde una solidarietà pelosa, che si ritrae quando si ha a che fare con popoli fieri delle proprie culture e che non mancano certo di autostima. E dove il ricordo dell'antico splendore ha prodotto in loro il crescere di un rancore profondo verso un occidente che nei loro paesi ha portato sfruttamento delle materie prime e guerra.

Fra venerdì e sabato ci sarebbero tanti altri spunti di cronaca, a cominciare dal dibattito in commissione sulla finanziaria e dalle fibrillazioni nella maggioranza di cui ho parlato nel diario di giovedì. Ma avrò modo di ritornarci.

 

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